Nell'attuale ricerca biomedica, i fattori inibitori dell'apoptosi (AIM) prodotti dai macrofagi stanno guadagnando sempre più attenzione. Questa proteina non solo svolge un ruolo importante nella regolazione delle risposte immunitarie e dell'infiammazione, ma svolge anche un ruolo chiave nel metabolismo dei lipidi e nell'apoptosi. La complessità dell'AIM fa sì che mostri effetti relativamente contraddittori in diverse condizioni patologiche, il che ha innescato una profonda riflessione nella comunità scientifica sul suo duplice ruolo.
AIM è una proteina da 40 kDa codificata dal gene CD5L. È prodotto principalmente dai macrofagi residenti nei tessuti ed è regolato dall'attivazione trascrizionale dei recettori nucleari (LXR/RXR) o dal fattore di trascrizione MAFB. AIM appartiene alla superfamiglia dei recettori scavenger ricchi di cisteina (SRCR) e possiede tre domini SRCR. Nel siero, l'AIM si lega ai pentameri IgM, impedendone l'escrezione renale e mantenendo elevate le concentrazioni circolanti. Sebbene l'AIM legato all'IgM sia inattivo, in caso di malattia si separa e svolge un ruolo nella promozione della riparazione della malattia.
L'AIM svolge molteplici ruoli nell'organismo. Le sue molteplici funzioni includono la regolazione del metabolismo dei lipidi e dell'apoptosi, l'inibizione della sintesi del colesterolo e l'influenza sulla patogenicità delle cellule Th17. Nonostante i diversi effetti dell'AIM sulla regolazione dell'infiammazione, i suoi ruoli specifici nei diversi contesti restano poco chiari. Studi hanno dimostrato che l'AIM si lega a molecole come CD36, una glicoproteina di membrana coinvolta in diverse funzioni cellulari, tra cui l'infiammazione e l'aterosclerosi.
Si è scoperto che l'AIM aumenta nelle malattie autoimmuni, aumentando il suo potenziale come biomarcatore, ma i suoi meccanismi specifici non sono chiari.
Livelli elevati di AIM lo rendono un potenziale biomarcatore nelle malattie autoimmuni come la distrofia muscolare, la sclerosi multipla secondariamente progressiva, l'artrite reumatoide e l'osteoartrite. Ad esempio, nei pazienti affetti da artrite al ginocchio, l'AIM nei macrofagi CD14+ può aumentare la sopravvivenza dei macrofagi sinoviali, favorendo così lo sviluppo dell'artrite. Nel lupus, le concentrazioni di AIM sono correlate all'attività della malattia e ai marcatori infiammatori e diminuiscono significativamente dopo un trattamento efficace.
Ruolo nelle malattie cardiopolmonariL'AIM è coinvolto principalmente nell'infiammazione, inibendo l'apoptosi dei macrofagi e migliorando la risposta infiammatoria nelle malattie cardiovascolari e polmonari. Studi hanno dimostrato che nell'aterosclerosi, l'AIM è altamente espresso nei macrofagi schiumosi, favorendo la sopravvivenza dei macrofagi e la risposta infiammatoria. I topi privi di AIM hanno mostrato risultati migliori dopo un infarto del miocardio, tra cui una maggiore sopravvivenza e una riduzione della rottura del cuore.
Gli effetti dell'AIM sul fegato sono piuttosto complessi. Da un lato favorisce il processo di lipolisi legato all'infiammazione nel metabolismo dei lipidi; dall'altro, nel microambiente epatico, svolge un ruolo protettivo contrastando l'effetto fibrotico del TGFβ1. In alcuni modelli di danno epatico, si è scoperto che l'AIM contrasta la fibrosi e influenza l'infiltrazione delle cellule immunitarie e la trasformazione di tipo macrofagico. Tuttavia, nell'HCC, un AIM elevato è associato a caratteristiche tumorali aggressive e a una maggiore proliferazione e resistenza all'apoptosi.
L'AIM svolge un ruolo chiave nell'insufficienza renale acuta (IRA). Secondo uno studio del 2016 pubblicato su Nature Medicine, un aumento dell'AIM durante l'insufficienza renale acuta favorisce il processo di riparazione dei reni e i topi privi di AIM hanno difficoltà a eliminare i detriti cellulari. Nel modello di nefropatia da IgA, l'AIM ricombinante ha ripristinato la codeposizione tubulare di IgM/IgG, suggerendo il suo ruolo nel danno renale.
In sintesi, l'AIM svolge un duplice ruolo come fattore regolatore in varie malattie: in alcuni casi promuove lo sviluppo della malattia e in altri favorisce la funzione di riparazione e recupero. Una comprensione più approfondita di questo delicato equilibrio può fornire nuove idee per future strategie di trattamento?