Marcello Barbato
Université libre de Bruxelles
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Featured researches published by Marcello Barbato.
Zeitschrift Fur Romanische Philologie | 2014
Marcello Barbato
Questo volume è frutto di un seminario tenuto a Bergamo con l’intenzione di coniugare lo studio dell’evo tardo-antico e alto-medievale con la riflessione moderna sulle lingue in contatto (esso non è ristretto dunque ai problemi della Romania, cui però daremo qui più spazio). Al recensore corre l’obbligo di dichiarare sin da principio la sua posizione sul problema della separazione tra latino e romanzo che egli ritiene compiuta a livello strutturale ben prima di quanto sostengano posizioni «continuiste» quali quelle di Banniard o di Wright. A tali posizioni si possono fare due obiezioni di fondo: 1) pur ammessa l’esistenza di un continuum linguistico, i suoi poli (nello specifico: latino e romanzo) possono ben essere discreti; 2) per rispondere alla domanda su che cosa sia una lingua non bastano criteri sociolinguistici (o addirittura metalinguistici) ma è necessario introdurre dei criteri strutturali. Per dirla con parole del compianto Alberto Zamboni va fatta «una distinzione tra coscienza socioe metalinguistica e realtà del sistema e del continuum linguistico», ed è difficile negare l’esistenza alquanto precoce «d’un insieme non casuale ma strutturato» che configura un sistema diverso da quello latino. La prima sezione («Sguardi teorici») è aperta da un intervento di Federica Guerini e Piera Mol inel l i , Plurilinguismo e diglossia tra Tarda Antichità e Medio Evo: discussioni e testimonianze [3–28], destinato a inquadrare teoricamente la questione. Le studiose propongono di distinguere «bilinguismo sociale» e «diglossia» (il latino provinciale, pur lingua di impiantazione, ha un’ampiezza di usi che non lo riduce all’acroletto di un regime diglottico puro): il primo evolve naturalmente verso situazioni di «dilalia» (Berruto), la seconda di «diacrolettia» (Dell’Aquila/Jannaccaro). Un esempio della prima situazione è la Gallia tardoantica, dove il gallico è limitato agli usi informali mentre il latino è impiegato in tutti gli ambiti; è esempio della seconda la Britannia alto-medievale, dove avviene l’inverso, con il latino ristretto agli usi formali e l’anglosassone che copre tutto il repertorio. Carmen Codoñer, Terminología antigua sobre los hechos de lengua respecto al fenómeno de cambio lingüístico [29–85], propone un’analisi raffinata e
Zeitschrift Fur Romanische Philologie | 2011
Marcello Barbato
Negli ultimi anni Adam Ledgeway ha dedicato alla morfosintassi delle varietà italiane meridionali, e in particolare del napoletano, numerosi articoli in cui sono state riaffrontate radicalmente questioni tradizionali (come il rapporto tra i deittici quisto e quisso o l’alternanza dei complementatori che e ca), e sono stati portati alla luce dei fenomeni prima inosservati (come l’esistenza di tempi sopraccomposti, del tipo è stato andato, in napoletano antico).1 Nel libro che qui si presenta l’A. apporta nuovi materiali e fonde i risultati delle ricerche precedenti in una sintesi organica. Il volume, impressionante già per la sua mole, si compone di una breve Introduzione [1ss.] Ð destinata a illustrare gli obiettivi della ricerca e a ripercorrere la storia degli usi linguistici a Napoli Ð, e di cinque grosse sezioni: Fonetica e Fonologia [29ss.], Gruppo nominale [119ss.], Gruppo verbale [359ss.], Categorie minori [683ss.], Struttura della frase [741ss.]. Seguono la ricchissima bibliografia e gli indici che comprendono, nella migliore tradizione anglosassone, un nutritissimo indice analitico. Come spiega Ledgeway nell’introduzione, lo scopo dell’opera è di colmare una lacuna negli studi: «mentre i domini della fonologia e del lessico del napoletano hanno tradizionalmente goduto di maggiore attenzione da parte dei dialettologi e dei linguisti, rimane ancora molto da fare per registrare e catalogare la ricca diversità morfosintattica del dialetto» [1]. L’A. sottolinea convincentemente l’indubbia importanza che i dati di una varietà cosı̀ a lungo e cosı̀ ben documentata come il napoletano possono avere in chiave comparativa, romanza e generale. Sebbene il problema non venga tematizzato esplicitamente, l’etichetta stessa dell’opera merita una riflessione preliminare. Una «grammatica diacronica» non è ovviamente una «grammatica sincronica», perché non si limita a descrivere uno stato di lingua; non è una «grammatica storica», perché non si limita a descrivere singole evoluzioni dal latino al romanzo; non è una «storia della lingua», perché non ha come oggetto né il rapporto tra i fatti storici e i sistemi linguistici, né l’evoluzione di un sistema in rapporto agli altri sistemi compresenti.2 Il libro di Ledgeway è dunque paragonabile per impostazione a una «storia linguistica interna», quale, per rimanere in ambito anglosassone, quella che Martin Maiden (1998) ha dedicato all’italiano.3 Questo genere si distingue sia dalla storia della lingua, perché si concentra sulla storia interna, sia dalla grammatica storica, perché l’evoluzione diacronica dal latino alla lingua moderna è studiata in maniera sistematica e non atomistica. Ora, normalmente questo tipo di opera è dedicata a una lingua standard, nasce dalla sintesi di ricerche precedenti e ha un carattere più o meno spiccatamente manualistico. Lo studio in oggetto, in-
Archive | 2010
Alberto Varvaro; Marcello Barbato; Giovanni Palumbo; Anna Constantinidis
Zeitschrift Fur Romanische Philologie | 2010
Marcello Barbato
Zeitschrift Fur Romanische Philologie | 2017
Marcello Barbato
Revue De Linguistique Romane | 2017
Marcello Barbato
Revue De Linguistique Romane | 2012
Marcello Barbato
Archive | 2012
Marcello Barbato
Archive | 2012
Giovanni Palumbo; Marcello Barbato
Revue Tranel (Travaux neuchâtelois de linguistique) | 2011
Marcello Barbato