Michela Tonani
University of Pavia
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Publication
Featured researches published by Michela Tonani.
American Journal of Emergency Medicine | 2017
Enrico Contri; Stefano Cornara; Alberto Somaschini; Cinzia Dossena; Michela Tonani; Francesco Epis; Elisa Zambaiti; Ferdinando Fichtner; Enrico Baldi
Introduction: Chest compressions depth and complete chest recoil are both important for high‐quality Cardio‐Pulmonary Resuscitation (CPR). It has been demonstrated that anthropometric variables affect chest compression depth, but there are no data about they could influence chest recoil. The aim of this study was to verify whether physical attributes influences chest recoil in lay rescuers. Methods: We evaluated 1 minute of compression‐only CPR performed by 333 laypersons immediately after a Basic Life Support and Automated External Defibrillation (BLS/AED) course. The primary endpoint was to verify whether anthropometric variables influence the achievement a complete chest recoil. Secondary endpoint was to verify the influence of anthropometric variables on chest compression depth. Results: We found a statistically significant association between weight and percentage of compressions with correct release (p ≤ 0.001) and this association was found also for height, BMI and sex. People who are heavier, who are taller, who have a greater BMI and who are male are less likely to achieve a complete chest recoil. Regarding chest compressions depth, we confirm that the more a person weighs, the more likely the correct depth of chest compressions will be reached. Conclusions: Anthropometric variables affect not only chest compression depth, but also complete chest recoil. CPR instructors should tailor their attention during training on different aspect of chest compression depending on the physical characteristics of the attendee.
BMJ Open | 2018
Enrico Baldi; Enrico Contri; Roman Burkart; Paola Borrelli; Ottavia Eleonora Ferraro; Michela Tonani; Amedeo Cutuli; Daniele Bertaia; Pasquale Iozzo; Caroline Tinguely; Daniel Lopez; Susi Boldarin; Claudio Deiuri; Sandrine Dénéréaz; Yves Dénéréaz; Michael Terrapon; Christian Tami; Cinzia Cereda; Alberto Somaschini; Stefano Cornara; Andrea Cortegiani
Introduction Out-of-hospital cardiac arrest is one of the leading causes of death in industrialised countries. Survival depends on prompt identification of cardiac arrest and on the quality and timing of cardiopulmonary resuscitation (CPR) and defibrillation. For laypeople, there has been a growing interest on hands-only CPR, meaning continuous chest compression without interruption to perform ventilations. It has been demonstrated that intentional interruptions in hands-only CPR can increase its quality. The aim of this randomised trial is to compare three CPR protocols performed with different intentional interruptions with hands-only CPR. Methods and analysis This is a prospective randomised trial performed in eight training centres. Laypeople who passed a basic life support course will be randomised to one of the four CPR protocols in an 8 min simulated cardiac arrest scenario on a manikin: (1) 30 compressions and 2 s pause; (2) 50 compressions and 5 s pause; (3) 100 compressions and 10 s pause; (4) hands-only. The calculated sample size is 552 people. The primary outcome is the percentage of chest compression performed with correct depth evaluated by a computerised feedback system (Laerdal QCPR). Ethics and dissemination . Due to the nature of the study, we obtained a waiver from the Ethics Committee (IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Italy). All participants will sign an informed consent form before randomisation. The results of this study will be published in peer-reviewed journal. The data collected will also be made available in a public data repository. Trial registration number NCT02632500.
Emergency Medicine Journal | 2017
Enrico Contri; Maria Concetta Bonomo; Giulia Costantini; Miriam Manera; Marco Bormetti; Michela Tonani; Enrico Baldi
We read with interest the paper by Perkins GD and colleagues on a series of initiatives to improve outcomes from out-of-hospital cardiac arrest in which teaching cardiopulmonary resuscitation (CPR) to schoolchildren play a key role.1 Evidence in the literature confirms that teaching CPR in school saves lives.2 If even schoolchildren know CPR, even more so a young doctor should know how to treat a cardiac arrest. However, since we …
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2012
Linda Porretti; Antonia Mancini; Michela Tonani; Clara Sacco; Gabriele Savioli; Carmine Tinelli; Eugenia Marchesi
Un legame fra iperuricemia e disordini cardiovascolari e stato ipotizzato da decenni. Non e mai stato chiarito comunque se l’acido urico (AU) rappresenti solo un marcatore di rischio o sia un vero fattore di rischio. Questo studio si e proposto di verificare, in soggetti ipertesi di prima diagnosi, l’esistenza di una correlazione tra uricemia e parametri classici di rischio cardiovascolare (RCV) nonche tra uricemia e presenza di danno d’organo subclinico, sia cardiaco che renale. Sono stati arruolati 534 soggetti (166 donne e 368 uomini, eta media 47 anni) affetti da ipertensione arteriosa primaria, esenti da complicanze. La prevalenza di soggetti iperuricemici e risultata del 15 %. Indice di massa corporea (BMI) e circonferenza addominale (CA) sono significativamente piu elevati nei soggetti appartenenti al terzo rispetto al primo terzile di distribuzione di AU (p<0.001), cosi come gli score di RCV (Framingham e progetto cuore italiano), nonche glicemia (p<0.001), trigliceridemia (p<0.001), omocisteinemia (p<0.001), mentre i valori di C-HDL sono significativamente inferiori (p<0.001). L’uricemia e risultata significativamente piu elevata nei soggetti con sindrome metabolica (SM) (p<0.001). Alla analisi multivariata i parametri della SM si correlano in modo indipendente con l’uricemia nel sesso maschile, mentre nel sesso femminile l’uricemia si correla significativamente solo con la CA elevata. I soggetti con ipertrofia ventricolare sinistra, rispetto a quelli senza, presentano valori di uricemia significativamente piu elevati (p<0.01) cosi come quelli con microalbuminuria (p=0.01). I risultati ottenuti confermano l’utilita clinica della determinazione dell’uricemia nell’inquadramento del rischio cardiometabolico in pazienti ipertesi di prima diagnosi, in particolare nell’ottica di identificare i soggetti a maggior rischio di sviluppare danno d’organo.
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2012
Clara Sacco; Letizia Veronese; Ada Sacchi; Michela Tonani; Giulia Ferrari; Anna Giulia Falchi; Guido Perani
Recenti aneddotiche osservazioni hanno posto in relazione le concentrazioni sieriche di beta2-microglobulina (MG) con le malattie vascolari in alcuni gruppi di popolazione. Questo studio si e proposto di indagare i rapporti fra beta2-MG e la malattia aterosclerotica clinica e preclinica in un gruppo di pazienti con dislipidemia di natura genetica. Sono stati arruolati 68 soggetti (M 44, eta media 639 anni) portatori di ipercolesterolemia familiare eterozigote (n=36) o di iperlipidemia familiare combinata (n=32) in trattamento cronico con statine. La presenza di cardiopatia ischemica e stata valutata sulla base della storia clinica, quella di arteriopatia periferica mediante misurazione dell’indice caviglia-braccio (ABI); l’aterosclerosi preclinica e stata indagata tramite misurazione dello spessore intima media (IMT) della parete distale della carotide comune (3 misurazioni per ciascun lato) con ecocolor Doppler. Nove pazienti avevano una storia positiva per cardiopatia ischemica, 6 erano affetti da arteriopatia periferica (ABI 1.30) e 8 presentavano sia cardiopatia ischemica che arteriopatia periferica. Rispetto ai soggetti non vasculopatici, i pazienti con cardiopatia ischemica (p=0.015) e quelli con cardiopatia ischemica associata ad arteriopatia periferica (p<0.001), ma non quelli con arteriopatia periferica isolata, mostravano concentrazioni sieriche di beta2-MG significativamente superiori. La prevalenza sia di malattia coronarica che di arteriopatia periferica mostrava un andamento crescente con i terzili di beta2-MG. I valori individuali di beta2-MG erano significativamente correlati in senso positivo sia con l’IMT medio (r=0.357, p<0.01) che con l’IMT massimo (r=0.350, p<0.01). Nei pazienti con dislipidemia familiare trattati con statine le concentrazioni sieriche di beta2-MG possono essere considerate un marcatore bioumorale di malattia aterosclerotica clinica e preclinica, anche se l’associazione della beta2-MG con l’arteriopatia periferica e dipendente dalla contemporanea presenza di cardiopatia ischemica.
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2012
Michela Tonani; Ilaria Giovi; Maria Francesca Sarnelli; Antonia Mancini; Clara Sacco; Linda Porretti; Elisa Benedicti; Carmine Tinelli; Alessandra Martignoni
Obiettivo dello studio. Lo studio nella sua totalita e strutturato per limitare i sintomi ansioso depressivi del caregiver del paziente con ictus. Scopo della prima parte dello studio e di identificare e quantificare i sintomi ansioso depressivi nella fase acuta della patologia cerebro-vascolare sia nel paziente che nel suo caregiver. Materiali e metodi. Sono state inclusi nello studio 86 pazienti con i rispettivi 86 caregiver. Nei pazienti sono stati valutati il deficit neurologico in ingresso e in dimissione dal reparto, la loro autonomia prima e dopo l’evento e lo stato cognitivo. La presenza di depressione post-stroke nel paziente e stata ricercata tramite la Post-Stroke Depression Rating Scale (PSDRS). La presenza di sintomi ansioso-depressivi nel caregiver e stata quantificata tramite la scheda ansia-depressione in riabilitazione (AD-R). Infine sono stati individuati i principali bisogni assistenziali percepiti dal caregiver tramite il questionario Caregiver Needs Assessment (CNA). Risultati. Depressione post-stroke e presente nel 13.96% dei pazienti (15.8% delle donne e 12.5% degli uomini) indipendentemente dal grado di deficit neurologico e di disabilita. Il caregiver del paziente con ictus e donna nel 70% dei casi, soprattutto coniuge (64% moglie e 36% marito) o figlia/o del paziente (72% figlia e 28% figlio), spesso in eta lavorativa. Sintomi ansioso-depressivi nel caregiver sono presenti nel 74.4%, intensi nel 40% indipendentemente dal deficit neurologico e dalla disabilita del paziente. Conclusioni. Sintomi ansioso-depressivi nel caregiver del paziente con ictus sono frequenti e spesso intensi nella fase acuta di malattia indipendentemente dal deficit neurologico e dalla disabilita del paziente. Nell’ottica di un modello di cura centrato sul binomio paziente-caregiver occorre occuparsi dei sintomi psicologici reattivi di entrambi per migliorare l’esito finale del processo riabilitativo.
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2012
Antonia Mancini; Linda Porretti; Valentina Baroni; Michela Tonani; Gabriele Savioli; Carmine Tinelli; Eugenia Marchesi
Nell’ambito di una popolazione di soggetti ipertesi di prima diagnosi, senza comorbidita, senza danni d’organo clinicamente manifesti, mai trattati in precedenza, abbiamo valutato le differenze fra i soggetti di sesso femminile e quelli di sesso maschile per quanto riguarda il livello di rischio cardiovascolare globale e la presenza di sindrome metabolica (SM) definita secondo i criteri ATP III, allo scopo di evidenziare quali sono i principali parametri di rischio che distinguono i due sessi. I 523 soggetti, 165 di sesso femminile e 358 di sesso maschile, sono stati sottoposti a: anamnesi, rilevazione dei principali indici antropometrici, misurazione della pressione arteriosa (PA) sia clinica che monitorata, dosaggio ematico dei principali parametri metabolici, dosaggio della microalbuminuria, calcolo dello score di rischio cardiovascolare utilizzando lo score di Framingham e quello della carta del rischio italiana. Sono state ottenute statistiche descrittive per tutte le variabili. Media e deviazione standard sono state usate per le variabili quantitative, mentre per le variabili qualitative sono stati utilizzati conteggi e percentuali. Le differenze di genere sono state analizzate utilizzando modelli uni- e multivariati di regressione logistica condizionale. La percentuale di soggetti affetti da SM e analoga nei 2 sessi (M 25%, F 24%), mentre diversa risulta la distribuzione dei parametri diagnostici per la SM tra i maschi e le femmine. Infatti piu maschi presentano alti valori di trigliceridemia e glicemia, mentre piu donne, in modo statisticamente significativo, presentano circonferenza addominale (CA) elevata. Analizzando la correlazione fra lo score di rischio ed alcuni dei parametri esaminati ma che non rientrano nel computo dello score, si evidenzia una differenza fra maschi e femmine per quanto riguarda trigliceridemia, CA e BMI: per queste variabili il coefficiente di correlazione con lo score di Framingham risulta statisticamente significativo nelle femmine ma non nei maschi (rispettivamente Tg r=0.524, BMI r=0.276, CA r=0.274 nelle femmine). Le donne, anche se aventi un livello di rischio CV globale inferiore rispetto agli uomini coetanei, sembrano piu sensibili al rischio derivato dall’obesita viscerale e dalla ipertrigliceridemia. Nella donna ipertesa alcuni parametri che caratterizzano la SM quali l’obesita viscerale e la ipertrigliceridemia possono rivestire un ruolo particolarmente importante nel determinismo del rischio cardiovascolare e particolare attenzione richiedono quindi il controllo del peso corporeo ed il livello di attivita fisica.
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2012
Antonia Mancini; Linda Porretti; Valentina Baroni; Michela Tonani; Gabriele Savioli; Carmine Tinelli; Eugenia Marchesi
Nel nostro studio abbiamo confrontato, in soggetti ipertesi di prima diagnosi, il diverso impatto, nei due sessi, della presenza di Sindrome Metabolica (SM) sulle alterazioni ecocardiografiche del ventricolo sinistro (VS) come espressione di danno d’organo subclinico. In 354 ipertesi di prima diagnosi (108 di sesso femminile e 246 di sesso maschile), mai trattati, abbiamo riscontrato uguale prevalenza di SM tra i due sessi, ma diversa prevalenza dei singoli fattori: glicemia e trigliceridi sono piu frequentemente elevati negli uomini, mentre la circonferenza addominale (CA) e piu frequentemente elevata nelle donne. Dal confronto fra donne e uomini senza SM emerge che i maschi, a parita di eta, hanno glicemia (p=0.001), uricemia (p=0.001) e creatininemia (p=0.001) piu elevati, invece valori di pressione arteriosa (PA) sostanzialmente sovrapponibili. Confrontando donne e uomini, entrambi con SM, emergono nei maschi valori piu elevati di PA diastolica (p<0.001), di uricemia (p=0.001) e di creatininemia (p=0.001). Soggetti con SM, sia maschi che femmine, non presentano parametri ecocardiografici diversi da quelli senza SM. La presenza di ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) si correla significativamente in modo lineare con l’eta e la glicemia nelle donne e con i valori di pressione arteriosa negli uomini. La regressione logistica multivariata fra parametri della Sindrome Metabolica e presenza di Ipertrofia Ventricolare sinistra, rispettivamente nel gruppo dei maschi e nel gruppo delle femmine, evidenzia come il parametro che mantiene significativita statistica nell’analisi, e il valore della pressione sistolica (p=0.001 nei maschi, p=0.05 nelle femmine). In conclusione, non emerge dal nostro studio un’influenza esercitata dalla presenza di SM sulle caratteristiche ecocardiografiche del VS ed in particolare non emerge un maggior impatto prognostico negativo della presenza di SM nel sesso femminile rispetto a quello maschile.
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2011
Michela Tonani; Carmine Tinelli; Elisa Benedicti; Giulia Ferrari; Ada Sacchi; Clara Sacco; Linda Porretti; Chiara Malagola; Ilaria Giovi; Maria Francesca Sarnelli; Alessandra Martignoni
Obiettivo dello studio. Valutare se l’indice caviglia-braccio (Ankle Brachial Index, ABI) mantiene una buona riproducibilita anche quando misurato da operatori con diversi gradi di esperienza e calcolato con le due metodiche piu rappresentate in letteratura; valutare se l’uso di metodiche differenti influisce sulla diagnosi di AOCP e sull’identificazione di pazienti a rischio. Materiali e metodi. Sono stati inclusi 50 soggetti sottoposti a rilevazione della pressione arteriosa con tecnica Doppler secondo procedura standardizzata applicata da quattro operatori con diversi gradi di esperienza, suddivisi in due coppie. Ciascuna coppia assegnata al paziente ha compiuto le rilevazioni nella stessa giornata e le ha ripetute a 8±2 giorni. Il calcolo dell’ABI e stato effettuato con due metodiche, quella classica che utilizza al numeratore il valore di pressione arteriosa sistolica maggiore agli arti inferiori e la metodica Low ABI che pone al numeratore il valore inferiore di pressione arteriosa sistolica rilevato agli arti inferiori. La presenza di sintomatologia e stata evidenziata con il questionario strutturato di Edimburgo. Per ogni paziente sono stati stratificati il rischio cardio-vascolare (prevalenza di fattori di rischio e carta del Progetto Cuore) e la presenza di malattia aterosclerotica (IMT e Score Carotideo). Risultati. La riproducibilita generale tra operatori e risultata ottima (>0.90) per entrambe le metodiche in modo indipendente dall’esperienza dell’operatore, soprattutto per la metodica classica. La riproducibilita intra-operatore e risultata tra discreta e buona (tra 0.65 e 0.80); questa minor riproducibilita e dovuta in maggior par-te alla variabilita biologica piu che all’errore operatore dipendente. Utilizzando un cut off di 0.9 come limite inferiore di normalita, il Low ABI appare meno riproducibile in modo statisticamente significativo sia tra ope-ratori sia intra-operatore (p <0.04 e p<0.013 rispettivamente). Conclusioni. L’ABI nella forma classica si conferma una buona metodica di screening anche se effettuato da operatori con diversa esperienza. Il Low ABI, grazie alla maggiore sensibilita, puo identificare precocemente pazienti a rischio, a spese pero di una perdita significativa di riproducibilita per cui potrebbe essere applicato a pazienti a rischio intermedio che poi siano sottoposti a metodiche di secondo livello per conferma diagnostica.
Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia | 2011
Letizia Veronese; Clara Sacco; Michela Tonani; Ada Sacchi; Chiara Malagola; Guido Perani
Gli xantomi tendinei sono un reperto obiettivo di frequente riscontro nell’ipercolesterolemia familiare eterozigote, tanto da fungere da importante criterio diagnostico; non e chiaro tuttavia se la loro presenza si associ ad un rischio cardiovascolare particolarmente elevato. Lo scopo di questo studio e stato quello di verificare l’associazione degli xantomi tendinei con la malattia aterosclerotica clinica e preclinica in un gruppo di 242 pazienti (110 uomini e 142 donne, eta media 52.2 +/- 14.2 anni) affetti da ipercolesterolemia familiare eterozigote, diagnosticata secondo i criteri del NICE inglese. La prevalenza di xantomi tendinei e stata del 44.4%, senza differenze fra i due generi, superiore nei pazienti di eta >50 rispetto a quelli di eta >50 anni (52.4% vs 36.7%, p=0.012). La presenza di xantomi si e significativamente associata alla presenza di cardiopatia ischemica clinicamente manifesta (p<0.001 negli uomini, p=0.003 nelle donne) e di placche carotidee all’esame ultrasonografico dei tronchi sopraaortici nel genere maschile (p=0.004). La prevalenza di ABI patologico e stata superiore, ma non significativamente, nei pazienti con xantomi. All’epoca della diagnosi, i pazienti con xantomi erano piu anziani (p=0.009 negli uomini, p=0.049 nelle donne) e mostravano concentrazioni di colesterolo totale (p=0.025 negli uomini e p<0.001 nelle donne) e C-LDL (p=0.003 e p<0.001) significativamente superiori rispetto ai pazienti senza xantomi. Le donne con xantomi avevano anche livelli inferiori di C-HDL (p=0.028). Alla piu recente osservazione, i pazienti con xantomi tendinei differivano da quelli senza xantomi per eta superiore (p=0.006 negli uomini e p=0.015 nelle donne), maggior prevalenza di ipertensione arteriosa fra le donne (p=0.024), livelli di C-HDL inferiori (p=0.031 e p=0.018 nei due generi). Nel complesso i risultati depongono per un ruolo preminente del carico di C-LDL lungo l’arco della vita nel condizionare lo sviluppo sia di aterosclerosi che di xantomi tendinei nei pazienti con FH eterozigote. Gli xantomi tendinei possono quindi aiutare a identificare i soggetti a rischio particolarmente elevato.