Nicola Nannini
University of Ferrara
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Publication
Featured researches published by Nicola Nannini.
PLOS ONE | 2014
Sahra Talamo; Marco Peresani; Matteo Romandini; Rossella Duches; C. Jéquier; Nicola Nannini; Andreas Pastoors; Andrea Picin; Manuel Vaquero; Gerd-Christian Weniger; Jean-Jacques Hublin
In the northern Adriatic regions, which include the Venetian region and the Dalmatian coast, late Neanderthal settlements are recorded in few sites and even more ephemeral are remains of the Mid-Upper Palaeolithic occupations. A contribution to reconstruct the human presence during this time range has been produced from a recently investigated cave, Rio Secco, located in the northern Adriatic region at the foot of the Carnic Pre-Alps. Chronometric data make Rio Secco a key site in the context of recording occupation by late Neanderthals and regarding the diffusion of the Mid-Upper Palaeolithic culture in a particular district at the border of the alpine region. As for the Gravettian, its diffusion in Italy is a subject of on-going research and the aim of this paper is to provide new information on the timing of this process in Italy. In the southern end of the Peninsula the first occupation dates to around 28,000 14C BP, whereas our results on Gravettian layer range from 29,390 to 28,995 14C years BP. At the present state of knowledge, the emergence of the Gravettian in eastern Italy is contemporaneous with several sites in Central Europe and the chronological dates support the hypothesis that the Swabian Gravettian probably dispersed from eastern Austria.
Journal of Field Archaeology | 2014
Marco Peresani; Matteo Romandini; Rossella Duches; C. Jéquier; Nicola Nannini; Andreas Pastoors; Andrea Picin; Isabell Schmidt; Manuel Vaquero; Gerd-Christian Weniger
Abstract The dearth of evidence for late Neanderthals in Europe reduces our ability to understand the demise of their species and the impact of the biological and cultural changes that resulted from the spread of anatomically modern humans. In this light, a recently investigated cave in the northern Adriatic region at the border between the Italian Alps and the Great Adriatic Plain provides useful data about the last Neanderthals between 46·0 and 42·1 ky cal b.p. Their subsistence is inferred from zooarchaeological remains and patterns in Middle Palaeolithic lithic technology. Unexpected evidence of the ephemeral use of the cave during the early Upper Palaeolithic Gravettian period shows a change in lithic technology.
Historical Biology | 2018
Gabriele Terlato; Hervé Bocherens; Matteo Romandini; Nicola Nannini; Keith A. Hobson; Marco Peresani
Abstract The Cave Bear, Ursus spelaeus (sensu lato), was one of many megafaunal species that became extinct during the Late Pleistocene in Europe. With new data we revisit the debate about the extinction and paleoecology of this species by presenting new chronometric, isotopic and taphonomic evidence from two Palaeolithic cave bear sites in northeastern Italy: Paina Cave and Trene Cave. Two direct radiocarbon dates on well-preserved collagen have yielded ages around 24,200–23,500 cal yr BP, which make them the latest known representatives of the species in Europe. The carbon (δ13C) and nitrogen (δ15N) isotopic values of bone collagen exhibit values similar to those of older cave bears from Swabian Jura and France, suggesting that the feedings preferences of cave bears remained unchanged until the disappearance of this species in Europe. Several bear remains preserved traces of human modification such as cut marks, which enables a reconstruction of the main steps of fur recovery and the butchering process. The broad range of plant types available and the favorable location of Berici Hills may have played an important role in the range expansion of cave bears and their interaction with the Paleolithic hunters settled the same area.
Sezione di Museologia Scientifica e Naturalistica | 2018
Nicola Nannini; Rossella Duches; Alex Fontana; Francesco Boschin; Jacopo Crezzini; Matteo Romandini; Marco Peresani
Nonostante la sempre piu vasta applicazione di metodi quantitativi ad alta risoluzione in campo tafonomico, sono pochi gli studi incentrati sul riconoscimento di impatti di proiettile su resti faunistici. Per questo motivo, in un precedente lavoro abbiamo esplorato la potenzialita della microscopia 3D nella distinzione di lesioni ossee dovute ad impatti balistici da altre tracce tafonomiche, sviluppando un metodo diagnostico di ampio utilizzo basato su dati sperimentali e incentrato su proiettili tardo epigravettiani (Duches et alii 2016). Nonostante sia stato possibile confermare la validita di questo metodo su resti archeozoologici appartenenti a mammiferi di media taglia (Nannini et alii submitted), l’affidabilita del campione sperimentale in rapporto ad animali di piccola taglia necessitava ulteriori verifiche: la dimensione e lo spessore delle ossa, infatti, potevano condizionare la resistenza delle ossa all’impatto, influenzando la morfometria degli impatti e la rappresentativita delle diverse categorie di tracce da impatto. Per indagare queste problematiche, un ottimo contesto di indagine e costituito dai siti tardoglaciali dell’Italia nord-orientale interpretati quali accampamenti specializzati nella caccia alla marmotta (Romandini et alii 2012). Migliaia di ossa di marmotta dalle Grotte Verdi di Pradis (Prealpi Carniche, regione Friuli Venezia Giulia) testimoniano ad esempio lo sfruttamento di un numero minimo di 571 individui, che a loro volta rappresentano circa il 98,8% dell’intero insieme faunistico. Allo scopo di essere il piu coerenti possibile con i dati archeologici, la sperimentazione balistica ha coinvolto 8 carcasse fresche di nutria ( Myocastor coypus ), usate come bersaglio di 130 frecce armate con punte a dorso e lamelle a dorso e troncatura. Dal momento che la sperimentazione ha portato alla formazione di un’unica puncture e, al contrario, di numerose drags e fratture, si e potuto desumere che lo spessore e le dimensioni delle ossa incidano realmente sulla rappresentativita delle diverse categorie di tracce da impatto. Se l’applicazione della microanalisi 3D nell’analisi di differenti tracce tafonomiche ha precedentemente dimostrato come solo drags e punctures siano diagnostiche d’impatto (Duches et alii 2016), questa nuova sperimentazione ha stabilito che solo i drags sono effettivamente rilevanti per l’identificazione di impatti di proiettile su resti archeozoologici di piccoli mammiferi. La generale coerenza dei dati morfometrici dei drags ottenuti in entrambe le sperimentazioni, prova inoltre come le caratteristiche degli impatti non siano influenzate dalla dimensione e dallo spessore delle ossa colpite. I dati 3D, processati statisticamente, provano infatti che svariati parametri morfometrici dei drags - come la profondita del taglio, l’ampiezza dell’apertura del taglio, l’ampiezza della base del taglio, l’angolo di ingresso e l’indice RTF (rapporto tra l’ampiezza dell’apertura del taglio e l’ampiezza della base del taglio) – siano coerenti in entrambe le sperimentazioni e significativamente differenti a livello statistico da quelli dei cut-marks . Basandoci dunque sui dati sperimentali per l’interpretazione delle tracce archeologiche rinvenute sui resti di Pradis, si sono potuti identificare con certezza almeno 9 drags su ossa di marmotta. Questo risultato conferma la predazione della marmotta alpina da parte dei gruppi epigravettiani attraverso l’uso di arco e frecce e arricchisce l’attuale dibattito sulla caccia ai piccoli mammiferi durante il Tardoglaciale
Sezione di Museologia Scientifica e Naturalistica | 2018
Marco Peresani; Davide Delpiano; Rossella Duches; Jacopo Gennai; Diana Marcazzan; Nicola Nannini; Matteo Romandini; Laura Tassoni; Alessandro Aleo; Arianna Cocilova; Stefano Benazzi
In questo lavoro vengono presentati i risultati delle ultime tre campagne di scavo effettuate a Grotta di Fumane. Le ricerche hanno riguardato la parte orientale esterna della grotta per una superficie totale di 6 m2 con l’obiettivo di indagare le unita basali del Musteriano Finale A10 e A11, datate ad oltre 48 ka cal BP (Peresani, 2012; Lopez-Garcia et alii , 2015). E stata esposta una sequenza finemente stratificata di sottili livelli antropizzati all’interno dell’unita A10 e di un unico livello in A11 con strutture di combustione distribuite lungo l’intera sequenza stratigrafica. L’insieme faunistico mostra caratteristiche tipiche dell’accumulo antropico e ricalca quello della sovrastante unita A9 (Cassoli, Tagliacozzo, 1991; Romandini et alii , 2014). L’industria litica denota una marcata presenza del metodo Levallois, in particolare la modalita unipolare per la produzione di supporti allungati, e una presenza, per quanto largamente minoritaria, del metodo Discoide nella parte alta dell’unita A10 (Gennai, 2017). Nel complesso, le unita A10 e A11 hanno rivelato importanti testimonianze del comportamento dei Neandertaliani del MIS3 che saranno contestualizzate in questa regione del Mediterraneo centrale. I risultati inducono a proseguire le ricerche.
Archaeological and Anthropological Sciences | 2018
Rossella Duches; Nicola Nannini; Alex Fontana; Francesco Boschin; Jacopo Crezzini; Federico Bernardini; Claudio Tuniz; Giampaolo Dalmeri
Despite the widespread application of high-resolution quantitative methods in bone taphonomy, very few studies have focused on projectile impact marks. Therefore, in a previous work, we explored the potential of 3D microscopy in distinguishing bone hunting injuries from other taphonomic marks, developing a widely applicable diagnostic framework based on experimental data and focused on Late Epigravettian projectiles. This paper aims to continue that research by applying 3D morphometrical analysis to zooarcheological bone surfaces, in order to verify the validity and feasibility of this method and evaluate the reliability of the experimental record. Here, we present the detailed analysis of a projectile impact mark, found on a rib of Ursus arctos from the Late Epigravettian site of Cornafessa rock shelter. The injury, located on the rib’s external surface, consists of a drag with several flint fragments embedded. X-ray μCT volume rendering and SEM imaging allowed us to analyze bone microstructure and drag’s qualitative features, while 3D measurements, processed through statistic, confirmed the interpretation of this mark as a hunting injury. The drag’s morphometric features are consistent with the experimental ones, connecting this mark to Late Epigravettian composite projectiles and declaring this evidence as the first direct proof of a bear hunted by using bow and arrow.
Quaternary International | 2014
Matteo Romandini; Nicola Nannini; Antonio Tagliacozzo; Marco Peresani
Paleobiology | 1996
Fabio Gurioli; G. Bartolomei; Nicola Nannini; Marco Peresani; Matteo Romandini
Journal of Archaeological Science | 2016
Rossella Duches; Nicola Nannini; Matteo Romandini; Francesco Boschin; Jacopo Crezzini; Marco Peresani
Journal of Archaeological Science | 2018
Matteo Romandini; Gabriele Terlato; Nicola Nannini; Antonio Tagliacozzo; Stefano Benazzi; Marco Peresani